Entro il 28 novembre 2009 (ricordiamo termine ordinatorio e non perentorio) circa 2 milioni di professionisti italiani dovranno dotarsi di un indirizzo di Posta elettronica certificata (Pec): il 28 novembre 2009 scade, infatti, il termine di un anno previsto dal decreto legge 185/08 entro il quale, ai sensi del settimo comma dell’art. 16, «i professionisti iscritti in albi ed elenchi istituiti con legge dello Stato comunicano ai rispettivi ordini o collegi il proprio indirizzo di posta elettronica certificata».Il nuovo adempimento, peraltro semplice ed economico, rappresenta un passo decisivo nella strategia di modernizzazione e riduzione dei costi portata avanti dell’attuale governo: quest’ultima prevede, infatti, sia analoghi obblighi, seppure con diverse scadenze, per le imprese costituite sotto forma di società (sesto comma dell’art. 16) e per le pubbliche amministrazioni (ottavo comma dell’art. 16) che la facoltà, per tutti i cittadini, di richiedere la Pec (quinto comma dell’art. 16-bis e dpcm 6 maggio 2009).
Perché la Pec?
La prima domanda a cui vogliamo tentare di rispondere riguarda le motivazioni della introduzione di un «nuovo» indirizzo di e-mail.
L’attuale modalità di gestione della posta elettronica è tanto efficiente quanto insicuro: capita a tutti di ricevere, tanto per fare un piccolo esempio, mail con un mittente noto, per assurdo noi stessi, senza che questo abbia mai inviato volontariamente alcunché (senza contare, poi, le questioni legate al contenuto, spesso «particolare», di tali messaggi). Non abbiamo intenzione di scendere nel tecnicismo, basti dire che oggi chiunque abbia un minimo di competenze informatiche può mandare e-mail a nome di qualcun’altro. Una falla disarmante che si spiega con le origini e l’evoluzione stessa di Internet: prima network militare «chiuso», poi rete di ricerca fra università statunitensi, persone che non avevano certo intenzione di divertirsi in attività di spamming, pishing e hacking, e quindi, senza aggiornamenti significativi nei protocolli di gestione della posta, rete globale con cui interagiscono, ogni giorno, milioni di individui.
Oggi l’e-mail, tanto impiegata anche a fini commerciali, non dà alcuna certezza in ordine a tre punti chiave:
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i soggetti coinvolti (mittente e destinatario);
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il contenuto del messaggio;
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non meno importanti, i riferimenti temporali (momenti di spedizione e di ricezione).
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In altre parole: nessun (o quasi) valore giuridico.
Ecco il collo di bottiglia che la Posta elettronica certificata vuole eliminare: consentire, stiamo semplificando, di fondere l’inarrivabile efficienza della e-mail (magari depurata da spiacevoli effetti collaterali quali, dicevamo, spamming, phishing e hacking) con la riconoscibilità giuridica della nota raccomandata a/r.
Le potenzialità della Pec
La Posta elettronica certificata è una normalissima e-mail a cui viene abbinato un servizio di attestazione, conforme alle specifiche contenute nel dpr 68/05, inerente al suo invio e alla sua avvenuta (o mancata) consegna.
Il suo funzionamento richiede, è fondamentale ricordarlo, la cooperazione di almeno tre soggetti: il mittente, che deve disporre ed usare un valido indirizzo Pec; il destinatario, anch’esso datato di una sua Pec; il gestore del servizio Pec, ossia il provider (o i provider, se mittente e destinatario si servono da differenti gestori), iscritto nell’elenco pubblico tenuto dal Cnipa, chiamato a produrre le ricevute, dotate di riferimento temporale, relative sia all’accettazione che all’avvenuta (o mancata) consegna del messaggio elettronico.
Ma quale valore legale ha la posta certificata? È questo il primo quesito che si forma nella mente di qualsiasi suo potenziale utente. Proveremo a rispondere, evitando i tecnicismi, sulla base sia delle disposizioni di legge che dell’ampia documentazione messa a disposizione dal Cnipa sulla sezione del suo sito web dedicata alla Pec.
Il punto di riferimento normativo è contenuto nell’art. 4, comma primo, del dpr 68/05: «La Posta elettronica certificata consente l’invio di messaggi la cui trasmissione è valida agli effetti di legge».
Ancora più esplicito il dlgs 82/05: il secondo comma dell’art. 48 recita «la trasmissione del documento informatico per via telematica, effettuata mediante la posta elettronica certificata, equivale alla notificazione per mezzo della posta».
Il mittente di un messaggio inoltrato attraverso la Pec può quindi, qualora il processo di invio e ricezione vada a buon fine (ossia riceva la ricevuta sia di accettazione che di avvenuta consegna), opporre al destinatario, e pure ai terzi, la data e l’ora della trasmissione e della ricezione dello stesso; l’e-mail, fatto non trascurabile, si intende consegnata al destinatario, ai sensi del secondo comma dell’art. 45, quando resa «disponibile all’indirizzo elettronico da questi dichiarato, nella casella di posta elettronica del destinatario messa a disposizione dal gestore» ossia indipendentemente della sua effettiva lettura.
Abbiamo compreso che la Pec consente, praticamente a costo zero e in tempo reale, di inviare una sorta di «busta elettronica» con data certa: ma è possibile provare anche il contenuto della missiva?
L’invio di una raccomandata a/r non garantisce, infatti, il contenuto della stessa: la busta potrebbe non contenere nulla, oppure un foglio bianco o comunque un documento alterabile. Anche la posta elettronica certificata non attesta, di per sé, il contenuto del messaggio: tale risultato può però essere facilmente conseguito attraverso la firma digitale. Ci riferiamo, in particolare, al tipo di ricevuta che il mittente può richiedere al provider Pec: optando per la cosiddetta «ricevuta completa» il gestore del servizio recapiterà non solo le informazioni minime di legge bensì pure il messaggio originale (completo degli eventuali allegati) firmato digitalmente. |