Precisazioni su pubblicità dell’informazione sanitaria
Al fine di chiarire alcuni aspetti concernenti la pubblicità dell’informazione sanitaria, con particolare riguardo ai titoli di specializzazione, comunichiamo quanto segue.
A seguito delle modifiche introdotte con la legge n. 248/2006, la disciplina della pubblicità sanitaria di cui alla legge 5 febbraio 1992, n. 175 è stata abrogata nella parte riguardante le procedure di autorizzazione della pubblicità stessa.
E’ rimasto, peraltro, intatto il potere dell’Ordine di verificare trasparenza e veridicità del messaggio pubblicitario, così come indicato nell’art. 2 della Legge 248/2006.
Si ricorda, inoltre, che l’art. 4 del D.P.R. 7 agosto 2012, n. 137 (Regolamento recante riforma degli ordinamenti professionali) testualmente prevede:
“1. E’ ammessa con ogni mezzo la pubblicità informativa avente ad oggetto l’attività delle professioni regolamentate, le specializzazioni, i titoli posseduti attinenti alla professione, la struttura dello studio professionale e i compensi richiesti per le prestazioni.
2. La pubblicità informativa di cui al comma 1 dev’essere funzionale all’oggetto, veritiera e corretta, non deve violare l’obbligo del segreto professionale e non dev’essere equivoca, ingannevole o denigratoria.
3. La violazione della disposizione di cui al comma 2 costituisce illecito disciplinare, oltre a integrare una violazione delle disposizioni di cui ai decreti legislativi 6 settembre 2005, n. 206, e 2 agosto 2007, n. 145.”.
Sappiamo che l’attività svolta dal medico non sostituisce in alcun caso il possesso del titolo specialistico, sebbene possa essere utilizzata ai fini della pubblicità dell’informazione sanitaria.
“Il medico non specialista può fare menzione della particolare disciplina specialistica che esercita, con espressioni che ripetano la denominazione ufficiale della specialità e che non inducano in errore o equivoco sul possesso del titolo di specializzazione, quando abbia svolto attività professionale nella disciplina medesima per un periodo almeno pari alla durata legale del relativo corso universitario di specializzazione presso strutture sanitarie o istituzioni private a cui si applicano le norme, in tema di autorizzazione e vigilanza, di cui all’articolo 43 della legge 23 dicembre 1978, n. 833. L’attività svolta e la sua durata devono essere comprovate mediante attestato rilasciato dal responsabile sanitario della struttura o istituzione. Copia di tale attestato va depositata presso l’ordine provinciale dei medici-chirurghi e odontoiatri. Tale attestato non può costituire titolo alcuno ai fini concorsuali e di graduatoria.”
Lo stesso articolo 1, comma 4, della L. 175/1992, ancora applicabile in via analogica, prevedeva esplicitamente:
Facendo un esempio concreto, quindi, il sanitario che non possegga il titolo di specializzazione potrà utilizzare, ai fini della pubblicità dell’informazione sanitaria, ad esempio, la dicitura di “Geriatra” o di “Geriatria” qualora abbia svolto effettivamente l’attività che intende pubblicizzare ed abbia fornito ampia documentazione sulle sue competenze nella disciplina di cui trattasi, ma non potrà utilizzare la dicitura “Specialista in Geriatria” in quanto non in possesso del titolo di specializzazione.
Sarà compito dell’Ordine valutare se, nel caso di specie, il medico effettivamente abbia svolto l’attività che intende pubblicizzare e, qualora lo ritenesse necessario, chiedere ulteriore documentazione comprovante la specifica competenza.
Qualora invece il medico, in possesso del titolo di specializzazione, intenda rendere pubblico il titolo stesso, anche semplicemente attraverso l’inserimento nel proprio ricettario o nelle carte professionali, dovrà necessariamente depositare il titolo di specializzazione presso l’Ordine di iscrizione, affinchè possa essere inserito nell’Albo.
Sebbene, infatti, non sussista un vero e proprio obbligo, in capo agli iscritti, di far inserire nell’Albo i propri titoli di specializzazione, tale adempimento diventa un obbligo nel momento in cui il professionista decida di renderlo pubblico.
Gli Ordini, pertanto, devono adoperarsi in tal senso, al fine di poter esplicitare al meglio i loro poteri di verifica.